martedì 9 settembre 2008

I bassifondi di Pietroburgo

Il treno viaggiava lentamente mentre si avvicinava alla stazione Finlandia di San Pietroburgo. Il telefono squillava. Sulla banchina mi aspettava un amico del padre di una mia amica dottoranda conosciuta anni fa all'Università di Mosca. Dai finestrini del vagone scorgevo le sagome delle persone in attesa. Una in particolare aveva attirato la mia attenzione: un uomo calvo, molto alto,
vestiti e stracci, ...
Sceso dal treno, mi venne in contro Volodja (nome fittizio), accogliendomi con calore. Ma Volodja era esattamente l'uomo che avevo scorto dal finestrino del treno. Un personaggio delle Anime morte, veramente grottesco. Volodja offrì subito il suo aiuto, prese parte dei miei bagagli, mi consigliò di comprare immediatamente una scheda telefonica molto economica, la vendevano proprio di fronte alla stazione, e non potevo certo farmi sfuggire l'occasione. E così mi porta da una ragazzina di sedici-diciassette anni che vendeva schede SIM per cellulari nel bel mezzo della strada, e le attivava col suo cellulare tenuto insieme da un nastro di scotch. Il prezzo, in effetti, era molto conveniente, e le tariffe del tutto irrisorie.
Scendemmo con Volodja, dopo aver perso mezz'ora per comprare la tessera, nella stazione della metropolitana, per prendere le due linee che ci avrebbero portato a Narvskie vorota, a casa sua. Mi aveva detto che l'appartamento era un po' "na remont", che stavano facendo dei lavoretti - e mi trovo metà casa senza pavimento, la stanza - in cui ho vissuto per alcuni giorni - completamente piena di cose messe lì da anni, con la polvere fino al soffitto, un divano letto del quindicidiciotto di una scomodità infernale, una sporcizia da galera, l'impianto elettrico malmesso, le luci della camera con falsi contatti che ne provocavano lo spegnimento: insomma, avevo raggiunto Dante all'Inferno.
Quel demente di Volodja nemmeno si era preoccupato di mettere in ordine la stanza, di liberarla prima del mio arrivo. La cucina lorda, piatti sporchi e pentole unte dappertutto, riscaldamento a gas senza manopola e valvola di sicurezza, e l'accensione elettrica rotta - quindi per l'acqua calda accensione a mano, cioè a cerini! Per non parlare del cesso, disgustoso, con un particolare
odore costante che mi nauseava ad ogni accesso, e la vasca di mille diverse tonalità di grigio, nero, giallo e rosso.
I miei problemi con lo sporco sono atavici, forse dovuti al fatto che da quando sono nato - 35 anni - vivo accanto ad un campo nomadi romano che di sporcizia ed inquinamento atmosferico è sovrano. Ma oltre alla sporcizia e al lordume, la polvere è il nemico che non mi permette di dormire: ho problemi di sinusite e la polvere, quando sono disteso, non mi fa respirare, il naso si riempe e boccheggio come un pesce d'acqua dolce.
Ecco, il boccheggiare come un pesce fu la condizione notturna di quei giorni all'Inferno di Pietroburgo. Un'insonnia - o un dormiveglia - dovuta anche al timore di saltare in aria per quel maledetto impianto a gas - cosa non tanto rara in Russia a causa di impianti vecchi e malmessi. E poi c'era quel diavolo di Volodja che mi gettava nella più profonda inquietudine.
La prima mattina mi piomba in camera alle otto cercando di svegliarmi - nessuno gliel'aveva chiesto, avevo messo la sveglia alle nove - dopo una notte insonne su quel letto, con quei pensieri, respirando male. Ovviamente i suoi scossoni generarono in me una semplice reazione di fastidio.
Il personaggio, noto come Lo Sdentato (per la mancanza della metà dei denti da entrambe le arcate palatali), aveva pensato bene di agire come se io non fossi stato lì, non fossi esistito, fossi stato un fantasma italiano apparso per diletto - o, meglio, per difetto - accendere la televisione a tutto volume - non per svegliarmi! Semplicemente perpetrava la sua solitaria abitudine di svegliarsi e accendere la televisione come fosse il boato di un cannone! Insomma, un vero e proprio terrore psicologico da manicomio sovietico. Insomma, mi sentivo affine all'intelligencija dissidente di qualche decennio prima.
La sera mi chiese di comprargli una birra dandomi una somma corrispondente alla metà del costo della bottiglia; gliela comprai comunque, ma appena accostò le labbra al collo era già ubriaco. Mi venne il dubbio: forse mi trovavo con un alcolizzato, cosa piuttosto normale - come si sa - da quelle parti. Invece no. Il giorno seguente partì per la dacia, per poi ritornare di notte, barcollando come un ubriaco, ma con quella parlatina lenta e precisa, e un po' addormentata, propria dei tossici. Gli guardai immediatamente le braccia. Tagli e buchi. Pensai: non è possibile!
Probabilmente era proprio un drogato fottuto. Mi dice: devo uscire nuovamente di casa per fare una cosa, e rientra più cotto di prima. Ma parlando - come fanno i tossici - in una sorta di logico ragionamento. Dunque - mi convinsi - avevo visto bene, non era stato un sogno, non era solo alcool.
L'alcool è il padre dell'intelligencija, è la madre degli scrittori, è la sorella dei ricchi e poveri, e il cuginetto dei disadattati. L'alcool è il filo conduttore che lega strati sociali e generazioni nei secoli della storia russa. L'alcool è una piaga sociale, ma è anche una pietra miliare della cultura. Parole, segni, rituali, il corso della vita: per la maggior parte del popolo russo l'alcool assume il valore di dogma religioso. Non si discute. Fosse stato solo l'alcool, forse le cose non sarebbero comunque cambiate, ma avrei pensato di essermi trovato in una di quelle situazioni che leggevo nelle storielle di Dovlatov, o meglio - entrato a far parte del poema alcolico di Venedikt Erofeev. Invece no! Ero sceso in profondità nella voragine dell'Inferno, e non so se da lì sarei mai più uscito.
Il giorno dopo Volodja-Lo Sdentato rientrò a casa completamente ciucco. Volodja era grosso, molto più grosso di me, alto oltre due metri. Volodja avrebbe potuto prendermi con le sue manone e staccarmi lentamente la pelle, per poi tagliare le mie carni con tutte quelle mannaie che nascondeva in cucina, cuocermi e mangiare parti di me, oppure sbattere qualche pezzo nel frigorifero, per darlo poi in pasto al suo cane - al momento in Dacia con la madre. La madre...
Telefonava alla madre, parlava con la madre, diceva che la madre aveva bisogno del suo aiuto, l'aiuto di uno psicopatico drogato alcolizzato e disoccupato, che non aveva altre occupazioni se non quella di camminare come un folle all'interno dell'appartamento, in quei sessanta metri quadri in cui si sentiva ovunque il suo fiato puzzolente.
Era rientrato a casa ubriaco, come al solito. Anche se aveva dimostrato di essere dotato di una certa cultura, spesso superficiale - conosceva l'arte e la letteratura - le sue posizioni erano spesso colme d'errori, di sviste, e di convinzioni ortodosse - secondo il suo pensiero era sempre nel vero - tali da rendere il dialogo impossibile. Chissà, a contraddire le sue cazzate si sarebbe potuto trasformare in un Mr.Hyde slavo, e piantarti un coltello sulla schiena. Chissà, magari proprio al rientro in casa, dopo una bevuta, o prima di una pera. Come scriveva il compianto Terzani, dietro ogni uomo si nasconde il peggior violentatore, maniaco, criminale...
Nel frattempo, mentre tutto questo avveniva lento e inesorabile come lo scorrere dei minuti in quella casa posseduta, mentre con la mente Volodja-Lo Sdentato, ormai fatto e pieno d'alcool, mi prendeva a pugni e calci, mi gettava sul pavimento colpendomi in pancia e mi sfondava il cranio con l'angolo di un altoparlante degli anni Ottanta, mentre io cercavo di sfuggire al mio destino ruotando le dita su una coroncina di grani e pregando il mio Dio, la stanza, la casa, Volodja, Pietroburgo, la Russia, il mondo, l'intero universo scomparve. L'idea - fissa - divenne una sola: trovare una nuova sistemazione.
Cominciai a cercare tramite internet, conoscenti e sconosciuti, raccontare la mia storia e implorare per avere un'altra casa. I soldi pagati - si, perché la topaia non l'avevo avuta in amicizia, ma m'era costata un pochettino - per me erano ormai persi: preferivo non chiederglieli indietro, lasciare le cose così, senza ulteriori appendici.
In quel momento non chiedevo altro che trovare una stanza, un po' di pace, finalmente dormire tranquillo. Un nuovo giro di amicizie: l'amica di un'amica, conoscente o sconosciuta - fate un po' voi -, che vive al centro di Pietroburgo, nell'isola Vasilevskij, mi contattò, piena di pietà, ma anche bisognosa di contante, proponendomi una camera per una cifra onesta. Era un donnone di origini ebraiche, ormai russa ortodossa da generazioni; portava però il proprio cognome ebraico con fierezza, aveva scelto di sposarsi con un ebreo russo, lui di fede giudaica, con cui aveva avuto una figlia e da cui poi si era separata. Il destino a volte è il progetto di una mente razionale: una mente di un'entità che conosce i miei studi, legati alla Russia e al mondo ebraico, al razzismo e all'antisemitismo; un'entità superiore che aveva scelto di liberarmi da quell'antisemita di Volodja - perché Volodja era un arzillo antisemita russo pronto a disseppellire i Protocolli di Sion per avvalorare antiche teorie di complotti ebraici contro la Russia - e farmi salvare da una russa ebrea nel centro di Pietroburgo.
Volodja-Lo Sdentato partì venerdì pomeriggio per la dacia. Io mi ero organizzato, avevo sentito Olesja (nome fittizio), che, all'ora stabilita, mi venne a prendere con un suo amico, per guidarmi all'isola Vasilevskij. Dopo una settimana, venerdì notte riuscii, finalmente, a prender sonno. E dormii.

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